memorie di saturnino - Luigi Albano

LUIGI
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Memorie di saturnino

Quanto è dolce per un cuore il disciogliersl dalle
voluttà pericolose che l'attaccavano al mondo! Reso
alla calma, sente tuttora quei fremiti d'orroro lasciati
nell'immaginazione dalla rimembranza dei pericoli ai
quali è fuggito, ma li sente soltanto per apprezzare
viepiù la sicurezza in cui si trova.
Eccoti, caro lettore la mia situazione.
Quanto devo ringraziare la
Provvidenza di avermi liberato dall'abisso del
libertinaggio in cui era caduto!
Io sono il frutto dell'incontinenza dei Reverendi
Padri Celestini della città di B***.
Ma perchè rivelo io i misteri della Chiesa?
Ahi sormontiamo ogni rimorso:
tutti gli uomini sono uomini,
e i monaci in particolare.
Ambrogio era il giardiniere di una villa che essi
possedevano a poca distanza dalla città: sua moglie
Antonietta fu scelta per mia nutrice. Allorchè io
nacqui ella perde un figlio, e venni posto in sua vece.
Antonietta era un boccone buono per qualunque
galantuomo; figuratevi se lo era per i frati!
Io cresceva ed aveva tutte le disposizioni monacali.
Quando vedeva qualche ragazza l'abbracciava
e la palpeggiava, sènza sapérè che cosa avrei fattò
se non mi si avesse fatto opposizione.
Un giorno che era restato in casa, dormiva nella
camera contigua a quella di Ambrogio. Tutto ad un
tratto fui svegliato da alcuni colpi nel tramezzo.
Mi posi in attenzione, e sentii parole male
articolate. « Ah! piano Tonietta, non far tanto presto.
— Ah! briccona, mi fai morire di piacere.... lesta....spicciati.... muoio. »
Sorpreso da tali parole, non sapeva come fare a
conoscerne il motivo. Tutto ad un tratto vidi nel
tramezzo un'apertura, la quale era coperta in parte da
un quadro. Vi posi l'occhio, e che mai vidi! Tonietta
nuda stesa sul letto, e padre Policarpio, procuratore
del convento, che faceva con lei ciò che i nostri
primi padri facevano fra loro per popolare la terra,
e le baciava le poppe e la stringeva. Non potreste
immaginarvi come restassi. Mi sentii scorrere un fuoco
per le vene, ed il mio membro era tanto intirizzito
da spaccare una muraglia. Il frate terminò, lasciando
esposta Tonietta ai miei occhi, che percorrevano il
suo corpo con una celerilà da non concepirsi; ed il
luogo più delizioso su cui mi fermassi era quella bella
nicchia che teneva in fondo al corpo, ombreggiata
di pelo e coperta di una spuma bianca. Frattanto la
natura faceva in me i maggiori sforzi. Dopo poco
colò dal mio membro una quantità di quell'umor
bianco, cui ne aveva veduto tanto sulle cosce di Tonietta.
Il piacere mi tolse l'uso dei sensi, e quando
tornai in me i due combattenti si erano già rivestiti.
Nel momento mi venne l'idea di partecipare tutto
a mia sorella Susanna, che non era mai stata da me
fino allora rimirata con occhio di concupiscenza; ma
decisi tosto di gustare con lei quei piaceri che padre
Policarpio gustava con mia madre. Andai a cercarla,
e la trovai nel giardino che coglieva fiori. Dopo avere
scherzato alquanto seco, l'abbracciai all'improvviso
e la stesi per terra. Ella cominciò a urlare, ed io,
senza curarla, procurava d'introdurlo le mani sotto
le vesti, quando vedendo da lungi Tonietta che veniva
incontro a noi, la pregai di non parlare dell'acca
duto. Mia sorella mi compiacque, ed uscimmo dal
giardino tutti insieme, e andammo a casa.
Susanna si vestì per andare a portare un mazzetto
di fiori a madama Dinville, e mi pregò di accompa
gnarla. Trovammo cotesta dama distesa sopra un
canapè in una postura voluttuosa. La mia immaginazione
cominciò subito a percorrere le bellezze
nascoste di quella donna, la quale invero era tale
da non essere disprezzata. Susanna le disse che io
era suo fratello; e la buona madama Dinville mi
abbracciò e mi baciò teneramente, introducendomi la
sua lingua nella mia bocca, maniera di baciare a me
affatto sconosciuta. La mia timidezza la sconcertò un
poco, e la conversazione fini col farmi provare dalle
sue mani gentili alcuni pizzicotti, ognuno dei quali
era accompagnato da un bacio e dalla preghiera di
andare a ritrovarla sovente.
Cammin facendo procurai di rinnovare il discorso
del giardino con Susanna. — Ma che volevi farmi?
mi disse. — Io non voleva che darti piacere, le
risposi, e se ne vuoi la prova, vieni meco in qualche
luogo solitario. — Di qual piacere intendi parlarmi?
— Dell'unione di un uomo con una donna, che si
baciano e si tengono sulle ginocchia. — li mio con
fessore mi ha tenuto qualche volta sulle ginocchia,
ed io non ho provato quel piacere che dici» — Per
chè egli non voleva farti ciò che ti vorrei far io. —
Che mi vorresti fare? — Ti metterei qualche cosa
fra le cosce, che il tuo confessore non ardiva
mettèrci. Susanna arrossì ed abbassò gli occhi'. — Vedi'
cara, tu hai un piccolo buco qui, le dissi mostran
dole il luogo dove aveva veduta la fica di Tonietta. —
Chi te l' ha detto? — Chi me l'ha delto? tutte le
donne l'hanno. — E gli uomini? — Gli uomini hanno
nello stesso posto una macchina, la quale s'introduce
nel vostro buco, e vi dà gran piacere.... Vuoi
che ti faccia vedere il mio strumento? ma a condizione
che tu mi farai vedere la tua buchettina:
noi ci dimeneremo, e saremo contenti. Susanna era
di fuoco, e non mi permetteva d'introdurgli la mano
sotto la camicia. Volli tentare di farle prendere in
mano il mio uccelletto, ma non mi fu possibile:
in tal guisa giungemmo a casa.
Dopo pranzo padre Policarpio, che aveva desinato
Con noi, desiderando di scuotere il giuggiolo con mia
madre, disse a Susanna ed a me di andare nel giardino
a divertirci. Colà procurai di prevalermi dell'occasione,
e trovai effettivamente una resistenza minore.
— Ma se ingravidassi? mi disse Susanna. — Che
forse le donne ingravidano in questa guisa? risposi
vedendo che ella ne sapeva più di me assai. Chi te
l'ha insegnato ? — Se mi prometti di tacere, te lo
dirò. — Te lo giuro da vero fratello.
— Tu sai, ella riprese, che sono stata in convento.
Oh! in quei luoghi s'imparano tutte le cose. Una
notte burrascosa, mentre io dormiva, venne suor
Monaca a trovarmi nel letto, dicendomi che aveva
paura a star sola nella sua cella. Mentre io procurava
di farle coraggio, ella introduceva una delle sue cosce
fra le mie, e cominciò a baciarmi, dandomi di quando
in quando piccoli colpi sulla natura. Dopo che si fu
dimenata un poco, mi sentii tutte le cosce bagnate.
Mi prese una mano, e mi pregò di metterle un dito
nella fica, dicendomi di dimenargliela. Mentre lo
faceva, ella scuoteva il culo e sospirava. Un momento
dopo mi bagnò tutta la mano, e quasi svenne. Io
sentiva che quel piacere doveva essere sommo, e
desiderava che mi fosse reso il contraccambio, senza
ardire di chiederlo, essendo per me cosa nuova affatto.
Suor Monaca conobbe il mio bisogno, e volle
contentarmi. Si stese sopra di me, mi fece allargare
le cosce, mi pose un dito dove io lo aveva posto a
lei, cominciò a muoverlo in su e in giù, stringendomi
per le chiappe, e dicendomi di dimenare il culo
per aumentare il piacere. Il gusto che provavo era
tale, che non sapevo ciò che facevo, finchè essendomi
corrotta, restai abbattuta e senza forza. Suor
Monaca mi domandò se mi rincresceva che fosse
venuta a trovarmi, ed io le risposi di venire a dormir
con me ogni notte. — Ma che non sapevi nulla? mi
disse; non ti eri mai introdotta un dito nella fichina?
— No, mai, perchè il confessore mi dice che è un
gran peccato. — Briccone! scommetto che egli ti
parla spesso di queste cose. — Veramente quando
me lo dice m'insegna il luogo dove io non devo
mettere le mie mani con mettervi le sue; col pretesto
di coprirmi il seno me lo tocca; mi stringe fra
le ginocchia, sospira, si agita, e mi rimprovera nel
tempo stesso. Mi ricordo che un giorno, nel levarsi
la mano di sotto la veste per darmi l'assoluzione, mi
schizzò nel volto qualche cosa di caldo, che mi diceva
esser sudore. — Cara Susanna, te lo dirò io ciò che
era. — Ma come avete fatto a imparar tante cose? —
Te lo dirò con patto che tu sia segreta.
Io glielo promisi; ed ecco, Saturnino mio, ciò che ella mi
raccontò.

(Tratto da Tempietto di Venere, pubblicato in Londra il 1840 )


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