la vera storia del Generale Tom Pouce e di alcuni celebri Nani
Tra le molte varietà individuali, che s’incontrano nella vita dell’uman genere, quelle, che ne riguardano la statura, sono di certo le più bizzarre e così conosciute che i nostri buoni antichi, i quali favoleggiaron sui giganti, scrissero pure esservi state intere popolazioni di pigmei, che vennero distrutte dai loro vicini.
Ma il lume della critica e le indagini de’ naturalisti ne mostrarono la falsità; e i nani del Madagascar sparvero come gli uomini colla coda e le altre favole spacciate intorno agli Ottentotti, agli Albini e a molti altri..
È ben vero che esistono anche al di d’oggi varii popoli, i quali non giungono che ad una statura di gran lunga inferiore alla comune: tali sarebbero le nazioni polari dei Lapponi, dei Groelandesi, dei Samojedi, degli Eschimesi, la cui statura generalmente suol essere di un metro o mezzo; i popoli situati sotto la zona torrida o nei climi caldissimi, e persino gli abitanti delle valli profonde e poco soleggiate delle nostre Alpi; ma essi non lo sono a tal segno da potersi chiamare nani.
Anzi un tal fatto non ha nulla di portentoso e riconosce la sua origine da molte cagioni naturalissime, senza essere costretti a negare quel vincolo uno di razza, che loro ne stringe.
La varietà infatti di clima, di suolo, di nutrimento, la stessa diversa attitudine dei corpi a ricevere o respingere il calore, le malattie proprie, la diversità di coltura, sono queste cause, che in genere modificano d’assai il corpo dell’uomo; ne è a far meraviglia se, mentre fra i vegetali vediamo crescere a stento e presto invecchiare quelli piantati in terreni aridi e poco atti a nutrirli o poco avvivati dal sole, vediamo le stesse condizioni influire sul diverso sviluppo di intere nazioni.
Un’ estrema deviazione però dalla statura comune è alfatto individuale, o al più non si riscontra che in qualche famiglia, appunto come vediamo non di rado propagarsi certe bellezze e certi difetti ereditarii (1); e tali esseri soltanto possono meritarsi il nome di nani.
Pare che tale loro degradazione dalla statura ordinaria generalmente derivi o da cause anteriori alla loro nascita, o da patimenti, da mancanza d’aria, di luce, d'esercizio sofferta sin dalla prima loro infanzia.
Le loro forme generalmente appajono poco simmetriche e regolari; hanno spesso vivace lo spirito, ma conservansi però fanciulli dell’animo come del corpo.
Forse la curiosità a cui sono segno sviluppa in loro l’argutezza e l'irascibilità, che si annida sovente in quei loro corpicini.
Raro è che giungano ad età avanzata, ed è noto a tal proposito l’epitaffio che il conte di Tressan scrisse alla memoria del nano Bebè, ove disse che cinque lustri furono per lui un secolo.
La storia ci racconta come ancor nel secolo scorso i nani non rendeansi popolari come al dì d’oggi, ma formavano un oggetto di passatempo riservato solo ai re e ai grandi signori, e vecchia ne era la moda; mentre anche i romani imperatori tenevano nani alla loro corte.
Fra essi sono ancor ricordati, e quello alla cui memoria Augusto fece erigere una statua, e quello che ammesso ai banchetti di Tiberio, non temea dirgli verità, che avrebbero ad altri costata la vita, e i molti, che Domiziano raccolse da varie parti per formarne un piccolo esercito di ridicoli gladiatori.
La maggior parte di essi venivano dalla Siria e dall’Egitto, e le donne romane ne andavano pazze, adornandoli prodigamente dei loro più preziosi giojelli.
A tal punto ne giunse la smania che, non somministrando a sufficienza la natura individui così deformi ed infelici per soddisfare all’universale capriccio di quegli opulenti romani, si tentava impedire il naturale sviluppo dei bambini con l’arte, le fasce, le gabbie e altri ordigni con quella stessa sollecitudine con che noi ci studiamo di ingentilire e raddrizzare i rattratti e i deformi.
Tra i più rinomati di quell’età si ricordano i nomi dei romani Mario Massimo, Marco Tullio e di Licinio oratore, che più volte disputò contro Cicerone, e un Alipio d'Alessandria rinomato filosofo alto solo due piedi, di cui si
racconta lodasse continuamente Dio di aver dato al suo spirito si lieve peso di materia corruttibile.
Nel medio evo imperatori e re non muovevan passo che non fossero seguiti dal loro nano che serviva loro pur di buffone, tanto più pregiato quanto più deforme e acuto di senno, e non v’ebbe principe si meschino, che per imitazione non volesse averne il suo.
La vaghezza pei nani si spinse a più ridicolo segno in appresso, sicché la moglie di Gioachimo Federico Elettore di Brandeburgo e Caterina de’ Medici raccolsero nani d’ambi i sessi per maritarli fra loro, ed è nota la pompa bizzarra con che la principessa Natalia sorella di Pietro lo Czar celebrò le nozze di due nani; ordinando che tutti si recassero a Mosca i nani sparsi nel territorio russo, e là condotti al palazzo e riccamente vestiti furono distribuiti in varie piccole carrozze dorate e tirate da sei piccoli cavalli superbamente bardati onde far corteggio al cocchio di trionfo in cui sedevano i fidanzati, preceduti da suoni di musicali stromenti e scortati da numerosi soldati, per difenderli dalla curiosità della moltitudine.
Ora, a toccare in particolare dei più rinomati, uno dei più celebri che abbiano esistito fu senza dubbio Jeffery Hudson nato nel 1619, che a 18 anni era alto 18 pollici e che, nascosto in un pasticcio raffreddo, venne dalla Duchessa di Bukingam presentate ad Enrichetta di Francia moglie di Carlo V, che lo prese per suo nano.
In onore di lui il poeta Davenant scrisse un poema col titolo di Jeffreide per celebrare le sue gesta vittoriose in un combattimento, contro un branco di gallinacci.
Ei si rese celebre per un duello sostenuto con un gentiluomo, che, avendolo provocato armato di un serviziale, così eccito lo sdegno del piccolo Jeffery, che questi sfidatolo a serio duello, ed essendo stato scelto dalla sorte a scaricar l’arme pel primo, sull’atto lo stese morto.
Due volte venne preso in mare dai pirati, ma scampatone ritornò in Francia seguendo la sua regina.
Mori in età di 75 anni e dicesi nelle prigioni di Westminster per aver preso parte a certi intrighi di cospirazione.
Questo straordinario nano, che a 50 anni non era alto che 18 pollici, crebbe dopo quell’età fino a tre piedi e 9 pollici.
Non meno rinomato fu pure a’ suoi tempi il nano Wybrand Lolkes nato nel 1730 in Olanda da un povero pescatore.
Ancor fanciullo mostrò qualche disposizione alla meccanica e riuscì nella professione d’oriuolajo; ma poco contento del guadagno che ne traea percorse l’Europa e nel 1790 si mostrò su varii teatri d’Inghilterra con successo così felice, che poco dippoi ritornò in patria a godersi in pace il danaro raccolto colla lieve fatica di appagare l’altrui curiosità.
Egli era dotato di grande forza di muscoli, agile nei suoi movimenti e di carattere assai melanconico, e ciò che è più ridicolo, d’animo vanitoso.
Nel gabinetto delle collezioni anatomiche della facoltà medica in Parigi esiste un modello in cera d’un altro celebre nano Nicolas Ferry soprannominato Bebè, che viveva alla corte di Stanislao re di Polonia, cui serviva di passatempo.
Nacque nel 1741 nel paese dei Vosgi da parenti ben proporzionati e di mezzana statura e alla sua nascita non pesava che 15 once.
All’età di sei anni entrò alla corte di Stanislao, che prese ad amarlo, benché si mostrasse poco grato alle cure che gli si prestavano.
Il suo intelletto era poco sviluppato, e non poté imparare a leggere, nè acquistare alcuna nobile cognizione, sicché più rassomigliava un animale addomesticato che un uomo.
Accessibile alle passioni della collera e della gelosia dava in gravi eccessi, che gli affrettarono la vecchiezza a 15 anni, epoca in cui cominciò a perdere la freschezza e la gentilezza della fisonomia e a vacillare sulle gambe.
Mori in età di 25 anni dopo un anno di decrepitezza il 9 maggio del 1764, e Stanislao gli fece erigere un mausoleo coll’epitaffio già sopra accennato.
Contemporaneo di Bebè ful il gentiluomo polacco Giuseppe Borovlaski, che a 22 anni era alto solo 21 pollice, e che come Jeffery negli ultimi anni della sua vita ingrandì in modo sorprendente.
La sua intelligenza era assai sviluppata, parlava e scriveva perfettamente diverse lingue, ragionava benissimo
ed era eccellente ginnastico ed elegante caveliero.
Nel 1794 viveva ancora in età di 99 anni una nana non più alta di una bambina di quattro anni, che era stata lungo tempo presso Pietro il Grande e che in quella tarda età si mantenea vivace e col perfetto uso degli occhi, dei denti e delle gambe.
Un’altra tedesca ne vivea nel 1818 di 19 anni, alta 18 pollici simile nella figura e nel peso ad un neonato, allegra sempre, ma dotata di una intelligenza da bambina di 4 anni.
Il più maraviglioso però di tutti i nani conosciuti e quello che più destò l’universale curiosità è certo il vivente Charles Sherwood Stratton conosciuto sotto il nome di Tom Ponce, che ha omai scorsa tutta l’Europa mostrandosi nelle più rinomate città.
Nacque egli il quattro Gennaio dell’anno 1838 in una campagna nelle vicinanze di Nuova Jork da genitori di statura ordinaria, e appena venuto alla luce non differiva per forma e per misura da tutti gli altri bambini; possedeva le loro doti e i loro difetti, pesava il loro peso, quattro chilogrammi.
All’età di sette mesi (è un giornale di vecchia data che parla) non si trovò in lui difetto alcuno, e posto sur una bilancia, non oltrepassava nel peso i sette chilogrammi e cresceva con tutta la desiderabile regolarità.
A un tratto, senza che se ne potesse indovinare la cagione, non volle più crescere.
"Si ebbe un bell’interrogarlo, non rispose: soltanto quando sua madre il richiedeva su quel difetto, la sogguardava in modo che parea volesse dire: Lasciane il pensiero a me, vo’mandar ad effetto un mio disegno, rimanendo piccolo, potrò diventar grande."
Del resto Tom Ponce era d’indole dolcissima ed obbediente; mangiava tutto che gli venia sott’occhio di buono, e ogni di si facce più gentile ed intelligente, ma non ingrandiva.
Furono consultati i medici, i quali, come al solito, non seppero che dire.
Infatti, come costringere a crescere un fanciullo che voleva restar piccolo?
Si lasciò dunque che eseguisse il disegno che avea in capo.
A sette anni non era né più grande, né più grosso, né più pesante di quel che lo fosse a sette mesi; pesava otto chilogrammi, ed era alto 71 centimetri, che è la statura appunto ch'egli conserva anche oggidì
A differenza però degli altri nani, le sue forme erano proporzionate e regolari, sicchè egli offriva l’aspetto di un adolescente dentro le dimensioni ed il volume di un bambino, onde ben presto fu oggetto della curiosità de’ suoi compatriotti.
Percorse allora con un tal G. I. Barnum, con cui erasi egli accordato, gli Stati Uniti, a mo’ di trionfatore.
Dovunque le popolazioni accorrevano al suo passare.
Le donne soprattutto stancar non si potevano di guardarlo.
Un giorno, durante quel viaggio, ei s’abbattè in Filadelfia in un altro nano, il maggiore Stevens, che si faceva anch’esso vedere a’ curiosi, ma la cui statura oltrepassava un metro e 50 centimetri.
Terminato l’abboccamento, il maggiore Stevens disse ai suoi amici:
« Da ora innanzi mi farò vedere come un gigante.»
Il 19 gennajo 1844 Tom Ponce si è imbarcato a Nuova Jork per l’Inghilterra.
Più di 1000 persone assistevano al suo imbarcamento.
Le vie che dovea attraversare erano affollate; bianchi fazzoletti sventolavano a tutte le finestre in segno d’addio.
Ei si condusse al luogo dell’imbarco in una carrozza scoperta, e in passando salutava tutti cortesemente.
Sbarcato felicemente in Inghilterra, Tom Ponce veduto appena, levò alto rumore di se.
Un si raro fenomeno destò l’ammirazione infatti dell’inglese aristocrazia, da cui fu ricevuto e accarezzato, e della stessa regina Vittoria, che lo regalò di magnifici doni, di anelli, di un vezzo di perle e di diamanti, con una corona fregiata di smalti e rubini colle proprie iniziali.
Anche il mirabile equipaggio, ch’egli conserva ancora al di d’oggi, gli venne offerto in dono dalla regina d’Inghilterra, che mostrò di aversi carissimo questo prodigioso nano e di formarne il suo prediletto passatempo.
Essa volle mostrarlo più volte al principe Alberto; e presso di lei a Buckingam-Palace lo videro pure la regina dei Belgi, il principe di Galles, la principessa reale e la principessa Alice.
La nazione tutta prese parte all’ammirazione della sua sovrana, e pare quasi, che Tom Pouce, lusingato dal felice successo di quel primo suo viaggio in Europa e riconoscente alla nazione, che prima lo festeggia cotanto, si sia ritemperato alla stessa di lei atmosfera di gravità, di eleganza e di lusso, che egli ha sempre poi conservato.
L’anno appresso recossi a Parigi’, dove non fu minore l’ammirazione per lui, sicché lo stesso re Luigi Filippo gli fe’ dono di un bellissimo spillo di brillanti.
Fu allora che avendo fra gli altri doni ricevuto un completo uniforme di grande ammiraglio ne assunse anche il nome senza contese però di emoli e senza invidia.
Dopo essersi mostrato in altre città e innanzi alla Corte Olandese e del Belgio, ritornò in America, ove rimase lungo tempo.
Nel 1849 ritornò a Parigi e unitosi ad una nuova compagnia ricomincio i suoi viaggi mostrandosi su varii teatri, dando principio, per dir così, alla sua vita artistica, mentre dapprima non avea fatto che mostrarsi sotto diversi costumi.
Visitò mano mano i primi teatri d’Europa producendo le sue rappresentazioni; e più Volte venne presentato alle Corti di Berlino, di Vienna, di Piemonte e innanzi alla Regina di Spagna.
Or non è guari a Venezia fu ammirato eziandio dal conte di Chambord e dal Duca Imperiale di Russia Costantino, che gli donò un bastone fregiato di diamanti.
Molti altri distinti personaggi gli furono cortesi di ammirazione e lo onorarono di doni.
Numeroso fu dappertutto il concorso della moltitudine, che trasse curiosa di vedere questo straordinario scherzo di natura; né gli mancarono sulle scene gli applausi destati al vedere in lui rivelarsi un’intelligenza superiore alle proporzioni del suo corpo, la quale pare siasi assai più sviluppata in questi tre anni, dacchè cominciò a presentarsi sulle scene sostenendovi qualche parte; dietro specialmente gl’indirizzi dell’ attuale suo precettore Eugenio Pèruche, a cui egli ha preso grande affezione.
Poche sono le pantomime che egli ha fra noi rappresentate, ma in tutte, senza toccare dell’ilarità che eccita ogni parte che egli sostiene e che dalla sola sua statura riceve interesse, in tutte però ha destata qualche meraviglia certa sua gravità di atteggiamenti, che fa ridicolo contrasto colla sua personcina, e alcune disinvolte maniere, che contrastano pur esse col suo umore a bitualmente melanconico.
E chi non meraviglia infatti vedendolo sbucare fuori da un pasticcio in abito da moschettiere, passeggiare per la tavola, sedere sopra un bicchiere capovolto, mescersi da bere e per mezzo d’una scala scendere dalla tavola a tormentare un gentiluomo provinciale, a cui fa mille burle e dispetti nascondendosi qua e là fra le tavole e le seggiole, sinchè lasciatolo addormentare gli sostituisce fra mano una scopa al fucile e sfidatolo quindi a duello lo uccide?
In altra pantomima egli compare a nuoto sull’onde, e scampato a fiera burrasca esce salvo sulla spiaggia.
Qui ubbriacatosi, s’addormenta, è ridesto s’innamora di una giovane europea e stabilisce di prender con lei la fuga; ma impeditone dagl’ Indiani amanti della straniera, ci li spaventa colle sue pistole e con lei prende il largo sul mare.
E certamente in queste parti ch’egli sostiene che si notano in lui atteggiamenti e tratti si veri espontanei che dimostrano il suo discernimento; di cui potrebbe meglio ancora giudicare chi lo vide nel ballo dei Cinque Caratteri, che fu fra noi appositamente per lui composto al suo arrivo, e nel quale egli ha saputo si bene indovinar lo spirito della sua situazione di vagheggiato re, d’innamorato, di rivale e di beffato amante, mentre una sola volta prima lo vide e vi si provò.
Ma il vero suo punto di vista e qualora appare nella sua elegante carrozzina alta appena un metro e mezzo, tirata da due piccolissimi cavalli guidati da un cocchierino in ricca livrea, parruccato, col piumoso tricorne e servito da un cacciatorino gallonato, piccolissimo equipaggio, sproporzionato anch’esso però alla sua persona.
S’apre lo sportello, ed egli ne discende vestito di nero da capo a piedi, con tutta l’eleganza di un damerino, fregiato dell’occhialetto, di un oriuolo microscopico, salutando cortesemente e distribuendo i suoi bigliettini di visita.
E l’illusione di questa scena viene ancor più accresciuta da quella sua testa bionda, dagli occhiuzzi grigi, dalle sue guance alquanto aggrinzite, e da quell’aria grave con che si presenta.
Né questo fare grave ed altiero è al tutto mendicato, che anch’egli ha la sua buona dose di amor proprio, che gli rende graditi e gli fa desiderare gli applausi del pubblico e le gentili carezze di chi l’ammira.
Quantunque egli sia intorpidito di mente, come lo rivela la sua non pronta nè facile memoria, non manca però di qualche acutezzae di molto spirito di osservazione, che lo trae a prediligere specialmente gli spettacoli teatrali, ai quali assiste con grande interesse.
Sa leggere e scrivere, senza aver la pazienza però d’occuparsene: parla l’inglese e qualche poco di francese, di tedesco e di olandese.
Egli non ama essere presentato in particolari società, ove si infastidisce come d’ogni visita de’ curiosi; ma vi conserva però sempre un contegno elegante e modi scelti e graziosi.
Il suo carattere è violento all’eccesso, facilissimo ad irritarsi, e cosi, non soffre alcuna contraddizione, che ha spesso nella sua stizza gettato in viso a chi prontamente non lo serviva quanto le sue piccole mani hanno
potuto afferrare.
E nelle sue parole di dispetto ben si rivela l’orgoglio suo e la sua irascibilità.
Un suo domestico, che egli poi licenziò perché non lo serviva a dovere, dimenticò una sera al teatro un piccolo di lui spadino: egli uditane la dimenticanza; « Io sono piccolo della persona, gli disse, ma se fossi così ignorante e stordito qual tu sei , vorrei più tosto da me stesso bruciarmi le cervella. »
Egli è gracilissimo di temperamento, impacciato nei movimenti, mangia poco e dorme lungamente.
È leggiero a segno che non pesa più di venti libbre, onde chi lo fa vedere, se lo pone sulla palma della mano e ve lo tiene ritto.
l piedi e le mani sono notevoli in lui per la piccolezza e per la bella conformazione.
La testa già grossa, cresce di continuo, e se ne è notato lo speciale sviluppo in questi ultimi anni, in che prese a sostenere qualche parte sui teatri.
Molle ne è la giuntura dei parietali, i quali si informano a protuberanze pronunciatissime.
Humbold, il più celebre geologo e naturalista di Germania, che lo vide alla Corte del re di Prussia, lo visitò particolarmente, e non è molto, a Pavia il nostro celebre Panizza ne ha perfettamente definito il carattere, e, secondo il sistema frenologico, coll’esame del cranio rimarcò un’intelligenza veramente in lui sorprendente.
Infine le Accademie di medicina a Parigi e a Venezia accordano con questi due sommi a riconoscere nell’ ammiraglio Tom Pouce il nano più meraviglioso e meglio proporzionato diquanti furono prima di lui. (2)
Tom Pouce, all'età di 45 anni il 14/06/1883 muore a Bridgeport (Connecticut).
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(1) E interessante il fatto della famiglia Leporatî di Parma esistente nel 1821, che venne appunto denominata Nanini. L’avo Leporati era nano ed ebbe dalla moglie donna di statura ordinaria sei figli, cinque dei quali furono nani. L'uno d’essi poi ammogliatosi ebbe da due donne di statura ordinaria otto figli, di cui quattro morti in tenera età, una femmina di statura alta e tre nani.
(2) tratto dal''omonima opera, seconda edizione Napolitana sulla terza di Milano, pubblicata a Napoili dallo stabilimento tipografico di Gaetano Nobile, nel 1852.
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