BUDDHA E VOLTAIRE
Ignazio di Loyola, con alcuni compagni, a Parigi nel 1534 fondò la Compagnia di Gesù (comunemente detti i Gesuiti).
Nel formare tale compagnia religiosa richiese ai suoi missionari di dettagliare con lettere le loro attività e quelle dei popoli e dei luoghi che incontravano.
Tutti i resoconti, riuniti in Francia nel corso del XVIII furono pubblicati tra il 1702 e il 1776 come Lettres et édifiantes curieuses, i contenuti di quelle missive erano diversi, ma la cosa sorprendente è che la religione indicata prominente in molti racconti era quella che un giorno sarà denominata il buddismo.
Dal XIX secolo, gli europei divisero la popolazione mondiale in quattro nazioni, in base alla loro religione: cristiani, ebrei, musulmani (spesso chiamati maomettani) e infine gli idolatri.
Per secoli, i buddisti rientravano in quest'ultima categoria.
I primi rapporti sul Buddhismo della Thailandia furono inviate dalle varie delegazioni (comprendenti sacerdoti gesuiti) alla corte di Siam da Luigi XIV.
I gesuiti che scrissero predette relazioni non riconobbero che le religioni incontrate in Cina, Giappone, Vietnam e Thailandia erano in qualche modo identiche perché ognuno aveva il suo termine indigeno di “Buddha” e ognuno aveva le proprie convenzioni artistiche che lo rappresentava.
Il suo ritratto come un idolo e come un fornitore d'idolatria non è cambiata sostanzialmente nel corso del XVIII secolo, ma molte più informazioni su di lui e dei suoi insegnamenti hanno cominciato a raccogliersi.
Nel 1764 Voltaire pubblicò il Dictionnaire philosophique, come molti dei suoi lavori, fu salutato da alcuni e condannato da altri, in esso criticava la Chiesa cattolica romana in quanto offriva rappresentazioni negative del Giudaismo e dell'Islamismo.
Voltaire criticò anche il buddismo ma nello stesso modo elogiò il Buddha, in effetti, dedicò una voce nel suo dizionario al Buddha, riferendosi a lui dal francese con uno dei suoi epiteti tailandese, Sammonocodom, cioè la Sramana (mendicante) Gautama.
Comincia: “Ricordo che Sammonocodom, il dio del siamese, nasce da una giovane vergine ed è stato alzato su un fiore”, egli continua non senza ironia con altri casi famosi di nascita miracolosa da altre culture.
Immediatamente cerca di separare l'uomo dal mito, e osserva che: “La religione del siamese ci dimostra che non ha mai insegnato cattivi costumi”, facendo notare che le regole che il Buddha ha fatto per i suoi monaci erano come quelli di San Benedetto.
Voltaire continua a fornire un elenco un pò eccentrico, ma non impreciso di queste regole, esse comprendono, “Evitare canti, balli, gruppi, tutto ciò che potrebbe ammorbidire l'anima”, “Non avere oro o argento”, “parlare solo di giustizia e di lavorare solo per la giustizia”, “Dormire poco, mangiare poco” e "Meditate in privato e spesso riflettere sulla fragilità delle cose umane.".
Questo lo porta a dolersi che in tutte le religioni “come una morale santa è necessaria” è stata macchiata da ogni sorta di storie ridicole e risibili "Perché non esiste una sola religione i cui precetti non provengono da un saggio e i cui dogmi non sono di un pazzo?”
Si pone la colpa per questo, al discepolo, che teme che i precetti del loro Dio non venga rispettato e le conseguenze di questo inganno, sono terribili.
Le persone ragionevoli sono attratte ai precetti del fondatore, ma sono respinti dalle dottrine inventate dai discepoli, di conseguenza, inevitabilmente vengono a respingere i precetti originali.
Nella seconda metà della voce sul Buddha, Voltaire dimostra di aver letto attentamente le relazioni dei gesuiti francesi, egli entra in una diatriba di una storia relativamente arcana nella vita del Buddha, riportata da diversi membri della delegazione francese in Thailandia, tra cui il gesuita Guy Tachard (1651-1712).
Nelle relazioni tradizionali della vita del Buddha, i gesuiti evidenziano che il Buddha aveva un cugino monaco di nome Devadatta, quando il Buddha invecchia, Devadatta sollecita il Buddha ad andare in pensione e girare la leadership dell'ordine dei monaci a lui.
Quando il Buddha rifiuta, Devadatta cerca di assassinarlo in tre diverse occasioni.
Il peso di questi peccati è così grande che Devadatta è inghiottito dalla terra e scendendo verso il più orribile dei vari inferni buddisti, viene impalato su tre punte di ferro, uno dalla testa ai piedi, uno attraverso il suo petto e uno attraverso le sue spalle.
I monaci buddisti per la prima volta che videro i crocifissi al collo dei gesuiti francesi, credettero che fosse Devadatta e che i sacerdoti stranieri adoravano il Buddha.
Quando i gesuiti cercarono di spiegare che il crocifisso non rappresentava il Devadatta ma Dio, i monaci buddisti espressero i loro dubbi "come un potente Dio poteva soccombere a una tale punizione?."
Voltaire riporta tutto questo, descrivendo Devadatta (che egli chiama Thevatat) come “un mascalzone che si è comportato male”, immaginando che il Devadatta fu crocefisso sulla terra e poi fu portato all'inferno.
Ciò che è degno di nota è che Voltaire viene a difesa dei Gesuiti, notando che Gesù, il vero Dio aveva dato a Ponzio Pilato il potere per crocifiggerlo.
Voltaire osserva che se Dio può essere crocefisso, certamente St. Jacques, il fratello di Gesù venne lapidato e Devadatta sarebbe potuto essere stato impiccato piuttosto che crocefisso, perché se fu giustiziato per un crimine che non aveva commesso sarebbe potuto andato in paradiso, piuttosto che l'inferno.
Nel corso del XIX secolo, la rappresentazione europea del buddismo subì una profonda metamorfosi: da una forma d'idolatria praticata da pagani a una religione mondiale che va oltre la categoria della religione.
Oggi, gli studiosi del buddhismo si chiedono spesso: il buddismo è una religione, una filosofia o un modo di vivere?
I gesuiti tutt'oggi osservano il voto di totale obbedienza al papa è sono particolarmente impegnati nelle missioni e nell'educazione, il 13 marzo 2013 è stato eletto il primo pontefice gesuita papa Francesco (Jorge Mario Bergoglio).