Napoleone Roussel (1805-1878)
ATEO, DEISTA O CRISTIANO?
Potete benissimo assumere un altro nome, ma non sapreste come fare ad essere altra cosa. Le voci di panteista, positivista, filosofo, ecc. suonerebbero forse più gradevoli al vostro orecchio; ma, come in fondo non avrebbero un significato diverso, permettete Ch’io m'attenga a queste tre: ateo, deista o cristiano, e di quelle tre appellazioni vi domandi alla quale pretendete.
Che volete essere ateo? vale a dire professare di credere che non ci sia nè Dio, nè Creatore, e che l'universo esista, com’è, da ogni eternità; o che si vada ogni giorno modificando da sè stesso, senza causa; che l’ordine che ci si osserva non sia propriamente ordine, bensì un accidente, e che le cose stiano così perchè stanno così.
Ateo, vale a dire senza legislatore, senza giudice superiore all’uomo; in guisa che, se a questi si scappa, tutto stia bene, e che basti l’aggiungere al delitto l'astuzia, al vizio l’ipocrisia, al furto la destrezza, per essere un savio a perfezione. È egli ciò che volete essere? Ne dubito, o piuttosto non dubito del contrario, e vengo alla mia seconda quistione.
Volete voi essere deista? Credere semplicemente a un Dio creatore e giudice; sperare un avvenire, comportarvi da galantuorno? Propendo piuttosto al reputare che tale sia la vostra scelta. Dunque esaminiamo.
Ciò che vi fa adottare una simile credenza non è soltanto che essa si confaccia colle vostre proprie riflessioni, ma ancora il fatto che, guardandovi da vicino, avete scoperto che quella è la credenza dei più, sebbene molti non se ne diano vanto. Sì, io credo che numerosissimi siano coloro che si professano deisti. Tuttavia, osservo che la loro fede non è poi molto ferma; non guari, almeno, si fa palese. Dove trovare una chiesa, una cappella deista? In nissun posto.
Quale è quel deista che ori al suo Dio?
Che lo siete voi? Quando? Come? A quale occasione? Se non adorate nè pregate Dio, fate voi, almeno, una qualche cosa per lui. Non parlo già, ben l’intendete, di digiuni, di pellegrinaggi, nè di cose simili; ma d’opere veramente buone, morali. So bene che siete un galantuomo, il quale non ha nè ucciso nè rubato, un uomo, insomma, onorevole nella società; ina‘vel domando: tutto ciò, lo siete voi per riverenza a Dio? Tutto quanto siete, che non lo sareste ugualmente allorchè non si trattasse se non di conservare la vostra riputazione, il vostro onore ? Non avete voi più volte detto a voi stesso che c’è un grado di probità, di decenza che l’interesse inteso bene ci raccomanda?
Non so se in inganni o no in quella supposizione, ma so bene che nel discorrere ch’io sento ogni giorno si adducono, per motivi all’onestà: l’opinion pubblica, la sollecitudine della propria riputazione, il pericolo di perdere la fiducia altrui, ed anche, alle volte, quello di essere colpito dalla legge... Ma il desiderio di ubbidire a Dio, no, mai, in nissun posto sento addurre quel motivo, se non nel catechismo, o presso ai piccoli fanciulli! « Bisogna stare molto buoni, bisogna ubbidire a Dio, » ecco ciò che vi si dice fino così agli Otto o dieci anni; in appresso, si temerebbe, ripetendolo, di farsi ridere sulla faccia!
E, a dir vere, intendo benissimo come non facciate gran conto del vostro Dio nei motivi ch’ hanno da determinare la vostra condotta; perché, insomma, cosa ne conoscete di quel Dio? Non di molto! Sapete ch’egli ha creato l’ universo, ch’ egli giudicherà gli uomini, ch’egli
regge il mondo ;
La secondo qual legge giudicherà egli quegli uomini? Fino a qual punto si occupa egli delle nostre faccende? Qual sarà il suo codice al giudizio ? Ci sarà appello? A chi? Ci sarà ricorso alla grazia? A favore di chi? Quel Dio giudice sarà egli severo oppure compassionevole? Se compassionevole, sino a qual punto’? Di quali articoli consta la sua morale? Richiede egli intenzioni illibate, oppur si contenta di atti profittevoli ai bisognosi?
L’omicidio è delitto: ma il piacere, la sensualità, l’impurezza, son dessi vizii? A qual punto conviensi fermare?
Tutte quante quistioni intricanti; siffattamente intricanti che i deisti le lasciano in disparte nella condotta loro, e prendono norma dalle circostanze, dagli uomini; o, diciamolo pure, dalla propria loro fantasia! Non c’era caso di dire: Io credo in Dio! In realtà, ci sono dei deisti in teoria, ma non ce nè nissuni in pratica.
Il deista logico con sè stesso è un essere ideale, senza copia nella natura; si dice di esserlo, non lo si è.
Deista che mi leggete, confessatelo, tale è il caso vostro.
Cosa rimane dunque? - Cristiano! È ciò a dire bacchettone ? - No.
È ciò a dire cattolico, greco o protestante? - No; ma cristiano.
Intendetemi: non voglio dire che quei tali cattolici, greci o protestanti che siano, non siano cristiani; ma solo desidero che non si faccia di nissuna Chiesa solidario il cristianesimo.
Desidero essere cristiano con Gesù Cristo, e come gli apostoli; nulla più.
Ora quel cristiano primitivo, eccolo. La sua morale si compendia in una sola parola: amare.
Il suo Dio si definisce con un termine solo: amore. Chiunque ama Iddio ed i propri fratelli adempie tutta la legge; e quell’amore diventa sorgente della sua divozione. Egli ama Iddio, in conseguenza gli ubbidisce; egli ama i proprii fratelli, in conseguenza li giova; in una parola, egli ama, in conseguenza è felice nell’adempire alla volontà di quel Dio ch’é oggetto supremo del suo amore.
Se a quel punto si fermasse il cristianesimo, sarebbe il buono, il vero deismo. Ma, oimè! abbiamo reso necessario un passo di più. Chiunque che vorrà parlare schietto, confesserà ch’egli non ha mai in modo effettivo amato nè Iddio, nè i suoi simili. Dicono tutti: sì, io amo; ma tutti si fermano al dire. C'è un ente solo che ciascuno ama, ed è sè stesso! oppure gli enti che fanne parte del me! Cosicchè in pratica il nostro amore è egoismo; e l’uomo che non chiude gli occhi su di se medesimo, e indotto a riconoscere ch’egli ha trasgredito la prima, l’unica legge, quella dell’amore; che quindi si trova disadatto a prender posto fra l’eletta comitiva del suo Dio.
Quell'uomo condannato sarà egli dunque lasciato alla misera sua sorte? Sarà dunque la giustizia eseguita su di lui? - No, no, ed è qui che si fa avanti il Vangelo.
L’uomo reo condannato, l’uomo avviato al luogo del patibolo è fermato per istrada; ci grida: mercèl mercèl ed è perdonato. Quel perdono gli viene annunziato nel'angelo, è ottenuto da Gesù Cristo; diciamo meglio: meritato colla vita e la morte di Gesù Cristo diventato membro della famiglia umana; e chiunque dichiara presso Dio di appartenere a Cristo è assicurato di aver la grazia, di esser salvato!
Ecco in pochissime parole cosa è il cristianesimo. Qual uomo oserebbe dire di non aver bisogno di perdono? Chi potrà insegnarci a trovarlo fuorchè in Gesù Cristo? E chi ci presenterà credenziali meglio autorevoli di quelle di Gesù Cristo? Una vita santa come nissun uomo mai ne presentò una simile; una morte ammirata anche dagli avversari di lui; e, sopra tutto, diciotto secoli di azione costante ed efficace per purificare, nobilitare, santificare milioni di credenti!
V’ ha forse nel mondo antico o moderno qualche cosa di simile all' azione di quel cristianesimo, e neanche d’un cristianesimo adulterato dalle umane passioni? No. Fino a tanto che non mi si potrà mostrare niente di più eccellente dell’opera cristiana in materia di fatto sacrificio di sè, e di santità, io me ne rimarrò cristiano.
E voi, lettore?
Per agevolare la vostra scelta, vi propongo una quistione. Al pari di me, voi credete senza dubbio che il fine dell’uomo è la sua felicità, e che quella felicità non riposa su vane illusioni, ma sulla verità. Ebbene, dove vi pare egli che possa l’uomo essere felice? Sarebbe forse nella persuasione che non c’è nè Dio, nè avvenire, nè dovere, nè vizio, nè virtù, e che egli medesimo non è se non il primo bruto di quaggiù? bruto destinato a rosicchiare un tozzo di pane, a respirare un pò d'aria, a godere alcune materiali voluttà; e poi a finire ?... Credete voi che faticoso ed incessante lavoro, pungenti inquietudini, fiere malattie, ed al termine la decreprità, la morte; credete voi che sia quella la felicità invocata dalla vostra natura? No. L‘amara derisione di una esistenza che tanto promette e sì poco mantiene, ci lascia facilmente travedere un Dio, un avvenire; ma quella ironia della vita, impossibile che sia l'adempimento delle promesse scritte dal creatore nell’ anima nostra.
Vado più in là. Se partiamo da questo punto di vista: un Dio, un avvenire, trovate voi gioie molto sensibili a servire un essere i di cui voleri siano velati ed i cui decreti non possano essere letti nelle leggi oscure della nostra coscienza? È egli gran felicità l’invecchiare tra la
paura e la speranza, incerto se Iddio sarà severo o compassionevole, giusto o misericordioso? V’ha egli molta dolcezza di godimento nel credere in una causa prima anzichè in un Amico, in un Padre? Potete voi amare un Dio che vi getta in questo mondo, lasciandovi in esso, incerto s’egli ancora si occupi di voi, oppure se vi stia cacciando di nuovo in seno al nulla per far posto ad altri, quaggiù.
E' tutto ciò la felicità che avete vagheggiato?
E dunque tutto ciò la verità?
Ma se vi poteste innalzare, per la fede, verso un Dio Padre, Amico, Salvatore; un Dio tutto amore, il quale interessa a voi a dispetto della piccolezza vostra, delle vostre colpe, della vostra ingratitudine ed il quale replica ogni giorno i suoi sforzi al fine di indurvi a credere in lui;
se poteste credere in un Dio chi vi ama voi, voi stesso; se poteste confidare in un Salvatore il quale non curò di farsi uomo, di soffrire, di morire per strapparvi all'eterno rimorso ed immergere voi, voi stesso nell’eterna beatitudine; oh, ditemelo, se poteste accettare quel Figliuolo di Dio, immolante sè stesso per voi, non lo amereste voi e non sareste voi felice dell’istesso vostro amore?
Ecco la; felicità cristiana; desse è grande, pura, durevole, santa.
E precisamente perché Gesù Cristo, nel mentre stesso che mi santifica, mi rende felice, che posso dirmi con ogni certezza: Sì, ecco la verità!
Lettore, è egli l’istesso di voi?
Se mi rispondete: « sì, » ne benedico Iddio! Se mi dite: « no, » aggiunga sola una parola: Pregate quel Dio a che egli vi conceda non soltanto una fede qualunque, ma lo Spirito suo di verità.
Firenze - anno 1867, autore: Napoleone Roussel (trascrizione in ortografia originale)