il battesimo e la cresima
Passati alcuni giorni , si pensava e si preparava ogni cosa pel battesimo, designandosi anche il compare e la comare, che si presceglievano in ragione di parentela, di amicizia e di onore, secondo lo stato sociale e le relazioni della famiglia del neonato.
Non di rado si aveva pensiero di invitare un prete a patrino, o qualcheduno di classe superiore, quasi a ravvivare e conservare le clientele alla romana.
Il giorno stabilito, che di solito era la domenica o il giovedì, si ripuliva la casa della puerpera ; si cambiava, o si mutava il letto, mettendo la migliore biancheria , che si avesse , cioè la coperta, le lenzuola ed i cuscini (fodere) dello sponsalizio, perchè solo in cosiffatte circostanze si faceva un pò di mostra e di lusso, ricevendosi in maggior numero le visite di parenti, di comari e di amiche con certa insistenza di affetto, di curiosità ed anche di molestia, essendo sempre indole e difettuccio delle figlie di Eva di cogliere qualsiasi occasione per darsi il gusto di spiare un pochino lo stato ed i fatti altrui, anche quando non ne fosse la convenienza ed il bisogno.
Si parava in certa guisa anche la naca (culla) del bambino , e si fasciava costui con la migliore e più nitida lingeria, che dicevasi mbascianna (infascianna), abbellendolo con cacciabraccio alquanto merlettato, con cuffia piena di fettucce (nastri), e mettendogli ad ornamento sulla fascia collane e spille di oro.
Riuniti i parenti, i compari e gli amici invitati, si procedeva verso la Chiesa della propria parocchia in festosa schiera, preceduti dalla mammana (ostetrico o levatrice) che portava disteso sulle braccia aperte il bambino, vestita anch'essa dell'abito migliore, cioè di sottaniello, di busto ricamato, di fascettella e di facciolettone, e carica di oro in petto e alle dita, alle orecchie ed alla gola; e si andava con passo misurato e dignitoso, dando posto distinto al compare, che per lo più andava a lato della mammana.
In chiesa si chiamava il prete, si faceva suonare l'organo a letizia, si accendevano parecchie torce (candele grosse), consegnandole alle persone più distinte, o a ragazzi; e così si procedeva alla sacra cerimonia del battesimo, durante la quale il padre del neonato se ne andava nel coro o nella sagrestia, per lasciare, secondo il rito o la credenza, libero campo a chi doveva rappresentarlo e sostituire nella parentela spirituale, quasi dovesse per breve tempo dimenticare ogni vincolo di sangue e di parentela naturale per meglio riconoscere e raffermare il novello diritto del patrino.
Il battesimo si faceva sempre in chiesa, e dopo pochi giorni dal parto, alla fonte dell'acqua santa (battistero), comune a tutti, senza distinzione di nascita e di ricchezze, essendosi più tardi introdotta la moda indecente ed abusiva del battezzare in casa, e quindi portare di qua e di là gli olii sacri per contentare la vanità delle famiglie, e svisare la bella e sublime uguaglianza della religione di Cristo, il quale diede tutto sè stesso per rialzare la coscienza umana, e stabilire almeno questo segno di diritto e di conforto sulla terra.
Finita la cerimonia del battesimo, si facevano gli augurii, e il compare menava (gettava) qualche moneta di argento nel secchietto dell'acquasanta per regalia ai sagrestani, e taluna volta in segno di vanità e di allegrezza gettava in chiesa una manata di spiccioli di rame ai monelli, che lesti e violenti si precipitavano l'un sull'altro a raccoglierli, col sistema di afferra-affèrra; e quindi rapida lotta di spintoni e di pugni; tanto che i monelli più deboli e sfortunati ne usci
vano contusi e piagnolosi per rabbia e per dolore.
Poi il corteo ritornava nello stesso ordine, e più festosi, in casa del battezzato, il quale si era fatto santo, al dir delle femminelle, e secondo le tradizioni e il rito della chiesa.
Quivi fatti i convenevoli e gli augurii con la puerpera, si faceva baciare il bambino da tutti, e poi tra il chiacchierio di compari e di comari si passavano li cumpliment' (i complimenti), consistendo un tempo, secondo lo stato della famiglia, in ceci o fave arrostite, ed in orciuoli colmi di vino; ovvero in biscotti, mustaccioli (paste caserecce) con qualche bicchiere di acquavite, essendosi introdotto assai più tardi, verso il principio del nostro secolo, l'uso dei dolci, del rosolio e dei gelati, a misura che le relazioni di commercio, e le manifatture zuccherose resero tra i nostri monti l'ambiente più leccardo e più civile.
Quindi non credo di determinare alcuna cosa, variando le costumanze in relazione dei tempi più o meno antichi, e secondo lo stato delle famiglie, ed il gusto degl'invitati.
Posso solo accertare, e me ne risparmierò in altro luogo, che anticamente ogni festa familiare si riduceva a rosicchiare e masticare ceci e fave arrostite, o cotte, accompagnando tale lavoro di mandibole con tracannate di vino razzente e saporoso all'orciuolo, o al fiasco, e quasi sempre si finiva col diventare brilli ed ubbriachi, tanto che nel ritirarsi parecchi andavano barcollando, e dando qua e là vicino ai muri con la testa e la persona.
E poichè di vino eravi abbondanza, dalle fecce nello famiglie più agiate si traeva per lambicco l'acquavite, ovvero nella vendemmia si faceva lu most cott (il mosto cotto condensato), col quale si solevano manipolare pezzetti di pasta, detti mustacciuoli, servendo queste leccardie per le festose riunioni di famiglia, e per fare sfoggio di agiatezza e di manifattura casareccia verso amici, compari e forestieri, quando da noi, come si è detto, non si aveva larga idea di zucchero e di rosolii e di raffinate pasticcerie.
In somma alla mancanza di generi coloniali si suppliva con l'acquavite, col mosto cotto e col mele.
Schietto era l'affetto e la reciproca stima tra compari, che anzi diveniva un vero sentimento sacro a misura che diminuendo le parvenze di distinzione di stato e di classe sociale, si aveva più salda la fede, più leale l'animo e più onesto e generoso il cuore; la onde in qualsivoglia lieta e triste ventura i compari si amavano, si aiutavano e si difendevano fino a mettere a rischio sè stesso e la propria famiglia !
Bastava dire: pi lu San Giovanni (pel S. Giovanni), mettendo la mano sul petto verso il cuore, o stendendola ad un amico, per dargli l'assicurazione più schietta e sicura di giuramento, di promessa e di fede.
Quando talvolta si veniva meno a questi sacri e tradizionali doveri, la colpa era gravissima, in guisa che ad indicarne il raccapriccio del pensiero, si diceva: Compare traditore! Che compare di S. Giovanni ! ed altre simili espressioni, con le quali si manifestava giusto risentimento e sdegno, ingiuria e disprezzo amaro per colui che del titolo di compare rendevasi indegno, o ne abusava.
Anche per la cresima si sceglieva il compare e la comare; ma in questa cerimonia era assai limitata la festa e l'allegrezza; e vi erano eziandio quelli che quantunque vecchi, non avevano voluto saperne di questa sacra unzione sulla fronte.
Nel tempo dell'infanzia, il bambino portava abitini (amuleti) ripieni di figure di santi e di un brandello di paramento sacro; cornicelli, qualche zanna di cinghiale incastonata in cerchietto di argento, una zampina di mologna, le quali cose valevano a preservarlo dai maluocchi (mali occhi) e dalla iettatura.
Se per avventura il bambinello si fosse ammalato, non si chiamava così presto il medico, perchè si sospettava subito che il male dipendesse da malefici influssi, e quindi si ricorreva ad un prete ed anche a qualche accreditata vecchiarella, perchè recitando orazioni, o il vangelo detto di S. Giovanni, si era sicuri di liberare il marmocchio da ogni malanno.
Vero è che la guarigione ed il miracolo della preghiera avveniva un pò di rado, e solo quando trattavasi di lievissima infreddatura o di doloretti viscerali, attribuendosi così a virtù umana il male ed il rimedio imaginario del fanciullo.
Perciò tra le madri era comune il sospetto ed il detto: L'han pigliato d'uocchi, ad ogni più lieve segno di indigestione e di catarro.
Crescendo negli anni il fanciullo, gli si diminuivano le dolci espressioni e le carezze, ne gli si usavano le mode e le galanterie, che formano oggi la vanità e la disperazione delle mamme, qualunque ne sia stata l'agiatezza e la fortuna.
Bastava allora una camicia ed un abituccio sano che lo coprisse da capo a fondo, facendo da giacchettino, da panciotto e da calzone, e tutto era provveduto.
La maggior parie dei fanciulli andava così, a capo scoperto ed anche a piede nudo, col moccio al naso e con la pettola della camicia, che gli usciva di dietro, come coda, dallo spacco del calzone, aggirandosi nel vicinalo o nella parrocchia, sia che cadesse la neve, sia che scottasse il sole; e scherzando tra loro, graffiandosi e battendosi, da rendere agili le membra, la pelle dura, i muscoli forti ed il corpo robusto.
In una parola si crescevano alla spartana!
Anche oggi si ha un'idea di quei tempi, allorchè si vede giungere qualche banda musicale dopo le noiose malinconie dell'inverno, perchè di solito innanzi ad essa sfila una schiera numerosa di ragazzi che si raccolgono da ogni parte, come per magico richiamo.
Parecchi fra loro si vedono ancora cenciosi, scalzi, a capo scoperto, e con la faccia lordata da moccio e da untume.
E tal vista fa pensare al tempo antico, sebbene l'occhio si allieti, vedendoli che saltano e fanno barzellette strane, scossi dal rumore della gran cassa e dall'armonia assordante ed aspra delle allegre sonate.
E camminano diritti e pettoruti, tenendosi in fila con le braccia o con le mani; ovvero presi da soverchio brio danno spintoni ai compagni e strappano i cappelli, gettandoli per aria, mentre i maltrattati fanciulli cadono a terra e si rialzano col naso sanguinante, ed altri piangendo si affrettano a raccogliere il cappello col pericolo di essere, come avviene spesso, calpestati.
E quindi si salta, si ride o si piange; e negli atti, nel viso e negli occhi della puerile schiera si potrebbe fare anche uno studio fugace delle diverse espressioni che il suono della musica, l'idea della festa e sopratutto l'irrequietezza e l'impertinenza dei muscoli e del l'età esercitano nell'animo di quei fanciulli, i quali differiscono da quelli del tempo antico per essere solo un pò più birichini, e meno spartanamente vestiti ed educati.
Il fanciullo fatto grande, giovinetto, si addiceva, secondo il proprio stato, alla coltura dei campi, ad un mestiere o all'amministrazione dei beni e dell'industria campestre.
Quindi l'educazione era rozza, quantunque onesta; e l'istruzione scarsissima, come si dirà in un capitolo a parte.
Le fanciulle se ne stavano a casa a covare presso la cenere, o andavano col babbo e con la mamma in campagna ad aiutarli nelle faccende agricole e nelle altre arti di lavoro.
Non di rado si pensava di vestire il giovinetto da prete senza badare se ne avesse l'indole, la mente e le virtù adatte, perchè interessava solo di avere il prete in casa; e di preti in Potenza ve n'erano moltissimi, perchè si diceva: beata quella casa che ha la chierica rasa, per indicare lo stato prospero e civile.
Ed appena il giovinetto indossava la zimarra, o abito talare, ancorchè figlio di contadino, e avesse, per così dire, qualche tempo prima lasciato la zappetta, o guidato l' asinelio col letame, si aveva il Don, domino, o titolo di Signore.